DALLA GIOIA ALLA TRAGEDIA: 37 ANNI FA IL ROGO DEL BALLARIN

Tramite i momenti e le testimonianze di chi era in campo ricordiamo l’anniversario dell’incendio che, ad oggi, resta la più grande tragedia accaduta all’interno di uno stadio italiano…

Il giorno in cui San Benedetto del Tronto si fermò. Il ricordo, che non deve mai sparire, del maledetto 7 giugno 1981 che si portò via Maria Teresa e Carla, “I fiori più belli”. Il Ballarin giace immobile subendo le intemperie del tempo; sugli spalti, dal 1985, non riecheggiano più i cori per la Samb in campo. Il degrado caratterizza quella che è stata la culla della civiltà calcistica per la prima squadra della città. La memoria di quel giorno non deve andare mai persa in onore di tutte le vittime. Ecco i momenti e le testimonianze di chi ha vissuto la tragedia da vicino.

ORE 16:57 –  Le due squadre fanno il loro ingresso in campo in un clima generale di festa. La città è un tripudio fin dalle prime ore del mattino. Già alle 14 lo stadio inizia a riempirsi. Un minimo sforzo, una formalità contro un avversario già retrocesso, sarebbe bastato alla Samb per tornare in B. È il momento delle foto di rito, quelle che si fanno in posa davanti l’obiettivo dei fotografi. C’è il sentore che qualcosa non vada. La coreografia, ricca di  elementi e coriandoli, giace alla base dei gradoni. Una sigaretta, forse un fumogeno caduto appena acceso. Poi le fiamme. La posa di Walter Zenga non è come quella dei compagni. Il portiere fissa, scrutando alla sua sinistra, la Curva Sud:
«E’ accaduto tutto così in fretta, noi eravamo in campo pronti ad affrontare il Matera. Poi qualcosa gira male: vedo fiamme e fumo. Poco alla volta tutti andiamo verso la curva: la gente urla e si lancia sul prato, ferendosi sul filo spinato. Come faccio a dimenticare… Non c’è giorno che passi senza un pensiero rivolto a quel giorno, a quelle povere ragazze. Una aveva la mia età. Ho quella foto, la tengo nel cassetto» racconta alla Gazzetta dello Sport.  Si creano due buchi vuoti, tra le persone assiepate sui gradoni, colmati dalle fiamme che si sviluppano velocissime.
«Qualcosa che tutti noi non potremo mai dimenticare. Quella domenica doveva essere soltanto quella della festa. Si è tramutata in un giorno di morte. Vedere, in quei momenti, la gente disperata che cercava di entrare in campo per sfuggire alle fiamme è stato qualcosa di tremendo, bruttissimo. Anche per noi in mezzo al campo sono stati attimi di vera paura. Per questo il ricordo di Maria Teresa Napoleoni e Carla Bisirri sarà sempre con noi». È la testimonianza di Walter Santo Perrotta.

Gigi Cagni, in quella gara, indossava come d’abitudine la fascia da capitano:
«Non si può spiegare con le parole quello che abbiamo vissuto. Ognuno ha i suoi ricordi e un sentimento amaro che non va più via. Mi disturba parecchio la cosa del Ballarin, pensare che si possa fare della speculazione con nuovi edifici non riesco a capirlo. Perché non si costruiscono dei campi per i ragazzi e si lascia qualcosa a ricordo della tragedia? Altrimenti davvero è tutto senza senso».

ORE 17:16 Paolo Tubertini di Bologna, su suggerimento dei responsabili delle forze dell’ordine e sentiti giocatori e i dirigenti di Samb e Matera, fischia l’inizio del match:
«Avevo pensato ad una bomba – sono le sue parole nel documentario “Il fuoco dimenticato” de La Nuova Riviera – c’erano delle fiamme altissime. Abbiamo saputo solo dopo che era un incendio causato dalla carta della coreografia. Avevo notato fin dai primi momenti che lo stadio era sovraffollato, c’era una calca che non avevo mai visto da nessuna parte. Sono cose che rimangono nel cuore, nella mente. Qualcosa di straziante. Quando ho saputo delle due ragazze è chiaro che la cosa segni per tutta la vita. Sono profondamente legato a San Benedetto».

LE CAUSE, LA TRAGEDIA – Il malfunzionamento degli idranti, le chiavi dei lucchetti che non si trovavano, i cancelli chiusi, l’inadeguatezza della struttura e la difficoltà nei soccorsi, tutto si unisce una una spirale di concause tremende che accentua i danni e fa aumentare la paura. Giorni di agonia per Maria Teresa e Carla, per la prima volta allo stadio, dopo il trasporto all’Ospedale Sant’Eugenio di Roma; giorni di agonia per centinaia di feriti rimasti imprigionati nella gabbia costruita da panico e fiamme. Maria Teresa si arrende il 13 giugno, Carla quattro giorni dopo. Ad oggi, il 7 giugno del 1981, resta la data legata alla più grande tragedia mai accaduta in uno stadio italiano.

Domenico del Zompo

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