Se fuori dal campo la storia della Samb è stata scritta da grandi dirigenti come il commendator Domenico Roncarolo o l’ingegner Alberto Gaetani, Alberto Ciabattoni, Giuseppe Valeri, Floriano Bollettini e Ferruccio Zoboletti, chi lo ha fatto in campo è certamente Alberto Eliani.
Il tecnico triestino, classe 1922, guidò la squadra dal 1958 al 1968. Non solo la grande lungimiranza, lo distinse, nell’ambito degli allenamenti e della pratica calcistica, ma anche una grande abilità nel riconoscere talenti, pregio che oggi hanno gli “scout”, figura sempre più presente nel mondo del pallone. Ad Eliani, che a San Benedetto ricopriva sia la carica di allenatore che di direttore sportivo, si deve tra gli altri, la scoperta di talenti del calibro di Caposciutti, Tacconi, Zenga, Causio e tanti provenienti da categorie minori “scovati” per risparmiare e non incidere sui bilanci societari. Portò pure un certo Paolo Beni, che di quell’esperienza racconta:
«Mi vide giocare a San Giorgio di Nogaro, dove facevo il militare e mi volle portare a tutti i costi a San Benedetto. Io non volevo anche perché avevo 23 anni. Nelle prime prove non andai benissimo ed ero poco convinto, ma questa città mi attirava. Poi ho giocato la prima prima partita e ora non ho nessun rimpianto tanto che sono rimasto 13 anni. Ero abbagliato da questo ambiente. Nella mia epoca Eliani a San Benedetto fece la storia portando in alto tanti giocatori dall’interregionale (attuale Serie D, ndr). Negli anni ‘60 poi, in ritiro, ci diede la palla fin dal primo giorno e giocavamo con le mani: una roba che in Serie A hanno iniziato a fare nei primi anni ’90. C’era una carica grandissima quando si entrava in campo che solo questa tifoseria sapeva darti. Il fattore Ballarìn incise sempre».