Abbiamo ascoltato Giovanni Romani, arcigno difensore rossoblù degli anni Sessanta e Settanta. Parole dolcissime nei confronti dei mister Eliani e Bergamasco…
Il tuo soprannome, “la Rogna”, fa già capire che tipo eri in mezzo al campo.
Vero. Giocando da terzino il mio compito era quello di marcare a uomo l'attaccante più temibile della formazione che affrontavamo, cercando di limitarlo il più possibile. Per il mio atteggiamento maschio in mezzo al campo, poi, mi è stato affibbiato questo nomignolo.
Gli inizi di carriera?
Esordii a 18 anni con la maglia rossoblù, a Busto Arsizio. Nel '63 passai alle giovanili della Fiorentina, dove rimasi per quasi tre anni. Non riuscii a sfruttare quest'opportunità anche per via della forte nostalgia che provavo nei confronti di San Benedetto: soffrii molto la lontananza di amici, casa e famiglia.
Era un calcio diverso, quello degli anni '60 e '70 rispetto a quello moderno.
Sì, completamente differente. A quel tempo i calciatori non avevano di certo tutti i benefit di cui possono godere oggi. Sotto il profilo fisico, però, attualmente c'è sicuramente uno sforzo maggiore da parte degli atleti: spesso si gioca ogni 3 giorni in molti campionati, una cosa impensabile in quegli anni.
Dei derby con l'Ascoli cosa ricordi?
Il primo episodio che mi torna in mente riguarda un match ad Ascoli: l'arbitro concesse un rigore per un fallo nettamente fuori area ed alcuni tifosi fecero anche un'invasione di campo. Quel che è certo, comunque, è che quando si giocava al “Ballarin” per i bianconeri non c'era scampo.
L'allenatore che ti ha dato qualcosa in più rispetto agli altri?
Ne dico due: i mister Eliani e Bergamasco. Entrambi hanno fatto un grande lavoro prima di tutto sul gruppo. Eliani era una persona molto tranquilla, che ti faceva sentire a tuo agio all'interno della squadra. A trasmettere sensazioni simili, poi, è stato maestro anche il grande Bergamasco qualche anno più tardi.
(foto gentilmente concessa da Luigi Tommolini)
Daniele Bollettini