In «Parola di Ex» abbiamo intervistato il centrocampista che con la Samb ha vissuto sette stagioni. «Ballarin, atmosfera unica», ma quello che accadde contro la Sampdoria ha dell’incredibile…
Ben sette stagioni vissute con la maglia rossoblù addosso. Quali sono state quelle più intense?
Senza dubbio le prime che ho passato a San Benedetto, con Nedo Sonetti allenatore: su tutte quella del 1980/81 della promozione in Serie B, nonostante l’indimenticabile ferita lasciata dal rogo del Ballarin sulla squadra e sull’intera città. Negli anni immediatamente successivi penso di aver vissuto i miei migliori momenti a San Benedetto, anche perché poi gli infortuni mi hanno costretto a vedere il campo più raramente.
Il primo che ti torna in mente ripensando alla tua esperienza sambenedettese?
Di ricordi ce ne sarebbero tanti, a voler citare il più particolare non possono non parlare di ciò che successe nella stagione 1981/82 in un match contro la Sampdoria. Vincevamo 2-0, venne fischiato in nostro favore un calcio di punizione: per perdere del tempo io, che avevo il pallone in mano, lo feci cadere e lo calciai al volo in avanti, con l’intenzione di perdere tempo. L’arbitro, però, aveva lasciato giocare normalmente, anche se tutti in campo credevano che il gioco fosse fermo: il pallone arrivò addirittura a Moscon, che era in buona posizione, ma lui non continuò l’azione pensando che il gioco fosse fermo. La partita finì 2-2 e ricordo che a fine gara l’allenatore della Samp Ulivieri disse: “Non ho mai visto battere un calcio di punizione al volo”.
Quella Samb, però, era più una grande famiglia che una squadra di calcio.
Assolutamente. Eravamo un gruppo talmente affiatato che ogni lunedì ci ritrovavamo per pranzare al “Rustichello” assieme alle nostre famiglie. Festeggiavamo insieme anche i compleanni di mogli e figli: c’era unione di intenti dentro e fuori dal campo.
Rapporto fantastico anche con tifosi e con società.
I tifosi ci davano davvero una spinta straordinaria, specialmente al Ballarin, dove te li ritrovavi attaccati alla rete a sostenerti: in quello stadio c’era un’atmosfera fantastica. La società, poi, era rappresentata da uomini come il Presidentissimo Zoboletti. Tanto per raccontare un episodio: ogni volta che facevamo il risultato lui veniva di nascosto a darci il suo personale premio partita, in aggiunta a quello della società e ci diceva “mi raccomando, non lo dite agli altri soci che dopo mi rimproverano di essere troppo buono!”. Capitò anche che il presidente ci dette il premio partita per partite che non vincemmo ma che giocammo bene.
Storie ed aneddoti che ti diverti anche a tramandare ai più giovani attraverso i social network.
Vedendo i tifosi che postavano vecchie foto e maglie di quegli anni ho provato delle emozioni fortissime, così in questi ultimi giorni ho lanciato una sorta di campagna sul scorta del “come eravamo e come siamo” sui miei ex compagni di squadra. Un modo come un altro per divertirci e rivivere quei momenti a distanza di anni.
Daniele Bollettini