Seconda parte dell’intervista all’ex presidente della Samb, che ripercorre alcuni tra gli episodi più significativi dei suoi trascorsi alla guida del club: «Premi ai giocatori? Era un gesto impulsivo»…
Per molti gli anni della tua presidenza sono stati quelli più fulgidi della storia della Samb.
Noi della società eravamo i primi a renderci conto che si stava facendo un lavoro straordinario. Ricordo che ogni volta che partecipavo alle riunioni di Lega in molti – tra presidenti e rappresentanti della federazione – mi fermavano e mi chiedevano: “Ma come fate a San Benedetto a poter reggere in un campionato di Serie B?”.
Sono stati anche anni di grandi scontri, come i derby con l'Ascoli di Rozzi.
Tra me e lui c'era una grande stima reciproca. Quando ci trovavamo insieme a degli incontri in estate mi diceva spesso: “Dì che puntate alla Serie A!”. Indelebile per me è il ricordo della partita di ritorno della stagione 1985/86, che valse la salvezza. Io e Rozzi eravamo seduti vicini. Quando nel secondo tempo iniziammo ad avere qualche difficoltà nel difendere lo 0 – 0 lui mi ripeté: “Ce la facciamo, ce la facciamo!”. Anche lui sperava nel pareggio.
Un rapporto particolare lo hai avuto anche con i giocatori: è vero che alle volte veniva dato un premio partita anche in caso di non vittoria?
Il fatto dei premi che di tanto in tanto mi sentivo di dare ai giocatori era una questione impulsiva. Poteva capitare che giocavamo un buon calcio contro una grande squadra e strappavamo un pareggio, così ritenevo giusto premiare i giocatori. Erano altri tempi: molti giocatori facevano grandi sacrifici e per me dare loro una piccola mano era importante.
Daniele Bollettini